21 Novembre 2024
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Livorno, 40 anni fa la beffa delle teste false di Modigliani: lo scherzo di cui parlò il mondo intero

25-07-2024 16:05 - News Attualità
Il 24 luglio 1984 emergono dal fango dei Fossi di Livorno tre sculture che i critici d'arte attribuiscono ad Amedeo Modigliani.
In realtà, una l'hanno fatta per scherzo tre studenti e le altre due un artista con intento provocatorio. Storia della burla del secolo
Tra gli scherzi finiti in cronaca e passati alla storia, ce n'è uno che compie 40 anni il 24 luglio 2024: la beffa delle teste di pietra di Amedeo Modigliani a Livorno. Una «goliardata» di cui si parlò in tutto il mondo.

Era il 24 luglio 1984: a Livorno si celebrava il centenario della nascita dell'artista e il museo progressivo di arte moderna di Villa Maria decise di allestire una mostra non dei quadri (sarebbe stato banale) ma delle sculture dell'artista, una produzione meno conosciuta e meno celebrata, e forse un motivo c'era, del pittore labronico espatriato a Parigi. Produzione su cui aleggiava una leggenda: Modì (così si firmava) era tornato a Livorno da Parigi per un breve periodo nel 1909. In quel periodo si era messo a scolpire e poi mostrò le sue opere agli amici del Caffè Bardi che non le apprezzarono, anzi lo sbeffeggiarono. Allora Modigliani, furioso, secondo la leggenda, avrebbe gettato le teste nelle acque del Fosso Reale, il canale navigabile davanti al Mercato centrale.
E se provassimo a cercarle davvero quelle sculture? Si dissero allora Vera Durbé, direttrice del museo e suo fratello Dario, allora direttore del museo di arte moderna di Roma. Così convinsero l'amministrazione locale di allora (il sindaco era Alì Nannipieri) ad avviare un lavoro di scavo nei fossi, i canali cittadini che attraversano il centro storico.
La draga si mise all'opera il 14 luglio nel tratto di fosso che si pensava potesse essere quello giusto. Passarono i giorni e dai fossi non veniva su niente se non ruote di bicicletta, pneumatici di automobili e altra spazzatura e in città si gonfiava anche un certo malcontento sulla necessità e sui costi dell'operazione.
Ma dopo 10 giorni di scavi intensi e sempre seguiti da una folla di curiosi che stazionavano alla spalletta del canale per ore, finalmente avvenne il ritrovamento epocale.

Beffati anche i critici d'arte
Il 24 luglio la draga tira su dal fango la prima scultura. Si tratta di una grande testa di pietra dall'inconfondibile stile di Amedeo Modigliani: il viso ovale, il naso allungato, gli occhi piccoli.
Poi, pochi giorno dopo, eccone un'altra, poi una terza.
L'euforia per i ritrovamenti è alle stelle. Arrivano le tv e i giornali stranieri a registrare la notizia. Critici d'arte di fama mondiale come Giulio Argan e Cesare Brandi si sbilanciano subito a riconoscere l'originalità della mano di Modigliani dietro le sculture. Una delle poche voce contrarie, quella di Federico Zeri, che le definì «dei paracarri».
«La febbre Modì» aveva però contagiato sprintendenti, esperti e amministratori e all'autenticità delle teste si voleva credere a tutti i costi. Per Livorno, per Modigliani, per l'arte.
Ma un mese dopo, arrivò la rivelazione che fece crollare il mito.

I ragazzi del trapano
Tre studenti universitari livornesi, Pier Francesco Ferrucci, Michele Ghelarducci e Piero Luridiana si presentarono un mese dopo il ritrovamento al settimanale Panorama rivelando che gli autori della seconda testa erano loro. E a riprova del fatto, mostrarono le foto con la testa in mano scattate in giardino dove avevano realizzato il loro capolavoro con un banale trapano elettrico.
«Vedevamo che non trovavano nulla e ci siamo detti, dai, facciamogli trovare qualcosa», raccontò uno di loro come motivazione del gesto.
Per lo scoop ricevettero dalla testata Mondadori 10 milioni di lire.

La prova con il trapano in tv
L’avevano fatta in giardino usando un trapano Black & Decker - neanche uno scalpello - e poi erano andati di notte a buttarla nel Fosso. «Anche se la troveranno, si faranno una risata», avevano pensato i tre. Mai avrebbero immaginato che la loro testona di pietra avrebbe potuto essere scambiata per una vera scultura di Modì.
Da lì in poi si scatenò l'inferno: i riflettori che si erano accesi su Livorno per quella che sembrava il ritrovamento artistico del secolo si moltiplicarono per quella che era diventata la beffa del secolo.
Oltretutto la reputazione di alcuni critici d'arte ne usciva pesantemente compromessa. Ma questi stessi critici, anzichè dire: «Scusate, eravamo tutti vittime di un'illusione collettiva», hanno insistito dicendo che i ragazzi mentivano.
Così si arrivò alla prova della tv: durante uno speciale del Tg1 i tre furono invitati a replicare il loro capolavoro dimostrando come in poco tempo avevano realizzato la scultura. Ovviamente ci riuscirono.

Le altre 2 teste
Ma chi era l'autore delle altre due teste? Giorni dopo se ne attribuì la paternità un lavoratore portuale 29enne con la passione per l'arte: Angelo Froglia (diventato poi effettivamente artista professionista e morto nel 1997), che spiegò il suo gesto in modo diverso: non uno scherzo, ma una performance culturale e sociale per mettere alla prova i media e il mondo dell'arte.
Anche lui fornì, a riprova, un filmato che lo ritraeva mentre scolpiva le teste.

Ormai le risate di sottofondo erano diventate talmente rumorose che il gesto artistico-politico di Froglia passò in secondo piano per lasciare la scena ai tre studenti goliardi.
«Non mi interessava fare una burla, – dichiarò ai giornalisti Froglia - Il mio intento era quello di evidenziare come attraverso un processo di persuasione collettiva, attraverso la Rai, i giornali, le chiacchiere tra persone, si potevano condizionare le convinzioni della gente. La mia è stata un’operazione concettuale, se volete in un certo senso è stata anche un’opera d’arte, come quella di Christo che impacchetta i monumenti, ma non avevo alcun intento polemico contro l’amministrazione, né contro la città, né contro i critici d’arte come singoli. Volevo semplicemente far sapere come nel mondo dell'arte l'effetto dei mass media e dei cosiddetti esperti possa portare a prendere grossissimi granchi».
In effetti il granchio i critici lo avevano preso, eccome: nell'affrettarsi a certificare l'autenticità delle opere gli esperti della soprintendenza non si accorsero, per esempio, della presenza di catrame nelle teste realizzate da Froglia: un'aggiunta fatta da lui proprio per mettere alla prova «gli espertoni».
Un altro aspetto divertente di questa vicenda, una sorta di effetto collaterale, fu la fortuna che portò alla marca di trapani elettrici Black & Decker. Il brand infatti, con una trovata di marketing geniale, realizzò una campagna pubblicitaria per i giornali.

L'annuncio del film di Virzì
Due anni fa il quotidiano Il Tirreno dette la notizia che il regista Paolo Virzì voleva realizzare un film sulla storia delle teste di Modì. «Il taglio che vogliamo dare è del tipo Amici Miei di Monicelli, giocoso, ma sempre veritiero, a tratti profondo, lasciando la possibilità di immedesimarsi in personaggi autentici» raccontò al quotidiano uno degli ex ragazzi,

Pierfranceso Ferrucci che nel frattempo è diventato medico e dirige una delle unità dello Ieo, l’istituto di oncologia fondato da Umberto Veronesi: «È la storia di tre ragazzi che si trovano catapultati nel mondo degli adulti proprio nell’attimo in cui avrebbero voluto rimanere ancora adolescenti. Lo scherzo voleva forse proprio rimandare il più in là possibile il passaggio all’età matura», raccontava ancora il medico.
Lo stesso Virzì annunciò di avere già in mente la sceneggiatura per una miniserie di Sky: «Molto più di un'idea se Sky me la lascia fare alla mia maniera», disse un anno fa il regista.
Vedremo.
Sarebbe un bel modo per rivivere un periodo di euforia collettiva. E fare pace, dopo 40 anni, con una storia che suscitò tante risate ma lasciò anche qualche ferita aperta.

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